IL DISINTERESSE
E' noto che la campana fa DIN e DON, voler spacciarne il suono come monocorda è cercare di prendere per i fondelli il lettore. Il nostro ex tuttologo elevatosi al rango di bimbominkia ci riprova, si diverte così! Potremmo regalargli un bel chupa-chupa così il mononeurone è in tutte altre faccende affacendato. Tipico di chi non conosce la storia recente, figuriamoci quella passata, la storiella sulla Libia. A prescindere da considerazioni personali sulla questione questi sono i fatti. Le opinioni vanno sempre separate dai fatti, sovrapporle vuol dire esporre una visione personalistica (quindi opinabile) degli accadimenti.
La prima guerra civile in Libia ha avuto luogo tra il febbraio e l'ottobre del 2011 e ha visto opposte le forze lealiste di Gheddafi
e quelle dei rivoltosi, riunite nel Consiglio nazionale di transizione.
Il paese, dopo aver vissuto una prima fase di insurrezione popolare (anche nota come rivoluzione del 17 febbraio), sull'onda della cosiddetta primavera araba (e specialmente dei coevi eventi relativi: la rivoluzione tunisina del 2010-2011 e quella egiziana), ha conosciuto in poche settimane lo sbocco della rivolta in conflitto civile. La sommossa libica, in particolare, è stata innescata dal desiderio di rinnovamento politico contro il regime ultraquarantennale della "guida" della "Giamahiria" (in arabo Ǧamāhīriyya) Muʿammar Gheddafi, salito al potere il 1º settembre 1969 dopo un colpo di stato che condusse alla caduta della monarchia filo-occidentale del re Idris.
Dopo quasi un mese di scontro il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite decise, con la risoluzione 1973, di istituire una zona d’interdizione al volo sulla Libia a protezione della popolazione civile, legittimando l'intervento militare ad opera di diversi paesi avviato il 19 marzo 2011. La risposta violenta alla rivolta civile da parte di Gheddafi è duramente condannata dalla comunità internazionale. Il regime di Muʿammar Gheddafi perde l'appoggio di alcuni dei suoi più importanti diplomatici libici in Europa e nel mondo, tra cui l'ambasciatore in Italia, gli ambasciatori a Parigi, Londra, Madrid e Berlino e i diplomatici presso l'Unesco e l’ONU.
La maggior parte degli stati occidentali condanna gli avvenimenti e le minacce di chiudere i pozzi di petrolio anche se nessuno interviene ufficialmente. L'UE procede intanto all'attuazione di sanzioni contro la Libia di Gheddafi. Il 26 febbraio il presidente degli USA Barack Obama firma una serie di sanzioni contro la Libia, tra cui il congelamento dei beni di Muʿammar Gheddafi e dei suoi familiari.
L'Unione europea infine il 28 febbraio decide le sanzioni contro il regime di Gheddafi: il Consiglio Europeo attraverso i ministri dell'Energia dei 27 stati membri, approva l'embargo sulle armi stabilito dalla risoluzione ONU del 26 febbraio, aggiungendo anche l'embargo su tutti quegli strumenti che il regime potrebbe utilizzare nella repressione della rivolta in Libia. Inoltre, il Consiglio aggiunge il congelamento dei beni e restrizioni sui visti per lo stesso leader Gheddafi e 25 dei suoi familiari e persone della cerchia.
Intanto le marine di numerosi stati, tra cui gli USA e Regno Unito, si posizionano nel Mediterraneo nell'eventualità di un attacco. Gli Stati Uniti studiano un piano d'azione per intervenire, valutando la possibilità di un attacco preventivo per neutralizzare le postazioni contraeree. In caso venga dichiarata una no-fly zone sui cieli libici si predispone la portaerei Enterprise con il probabile appoggio della stessa marina italiana. Il Ministro della Difesa LA Russa dichiara che potrebbe essere utilizzata la stessa Sicilia come punto strategico per far rispettare l'embargo.
Il procuratore Luis Moreno-Ocampo della Corte Penale Internazionale annuncia l'apertura di un'inchiesta per crimini contro l'umanità in Libia, mentre Barack Obama sostiene di prendere in considerazione l'opzione militare affermando che "ciò di cui voglio essere sicuro è che gli Stati Uniti abbiano una piena capacità di azione, potenzialmente rapida, se la situazione dovesse degenerare in modo da scatenare una crisi umanitaria".L’Interpol diffonde un'allerta internazionale a tutte le polizie mondiali per facilitare le operazioni della Corte Penale Internazionale e l'attuazione delle sanzioni ONU.
Il 9 marzo proseguono le pressioni di Francia, Regno Unito e Stati Uniti sull'ONU per l'attuazione di una zona di divieto di sorvolo sui cieli libici. Il vicepresidente Usa, Joe Biden, giunge a Mosca allo scopo di persuadere la Russia, contraria ad un attacco contro Gheddafi, a dare il consenso alla realizzazione della no-fly zone, che richiederebbe il ricorso allo stato di guerra contro Tripoli, primo passo informale verso l'apertura di un fronte di terra con l'obiettivo di sostenere i rivoltosi libici e disarcionare Gheddafi.
Il 17 marzo il Consiglio di Sicurezza dell’ONU discute una seconda proposta di no-fly zone, avanzata dalla Francia, che viene approvata a tarda sera. La risoluzione 1973, che chiede "un immediato cessate il fuoco", autorizza la comunità internazionale ad istituire una zona d’interdizione al volo in Libia e a utilizzare tutti i mezzi necessari per proteggere i civili e imporre un cessate il fuoco forzoso,ad esclusione di qualsiasi azione che comporti la presenza di una "forza occupante". Il 19 marzo, a seguito del proseguimento delle operazioni militari libiche contro gli insorti e in ottemperanza alla risoluzione ONU, la Francia avvia l'oprazione Harmattan con le ricognizioni aeree dello spazio aereo libico da parte dei cacciaRafaele,Mirage 2000 che successivamente, alle 17:45 circa (ora di Parigi), eseguono un attacco contro le forze lealiste al regime di Gheddafi colpendo mezzi corazzati dell' esercito libico nelle zone attorno alla città di Bengasi. L'attacco è seguito, qualche ora più tardi, dal lancio di 112 missili da crociera tipo Tomahawk da parte di 25 unità navali e sommergibili statunitensi e britannici, dispiegatesi per l'Operazione Odissey Dawn.
Nella notte tra il 19 e il 20 marzo la RAF impiega i missili del tipo SCALP (Storm Shadow) su obiettivi militari libici, lanciati da aerei Tornado GR4, decollati dalla base RAF di Norfolk (Operazione Ellamy).
Tra i mezzi messi a disposizione per operazioni risultano anche velivoli delle forze aeree italiane, norvegesi, omanite, danesi e spagnole (i Paesi della cosiddetta coalizione partecipanti alla missione Odissea all'Alba) che però nelle prime fasi, fino al 27 marzo, non hanno effettuato in modo comprovato operazioni con l'uso attivo di missili o bombe.
L'Italia ha partecipato inizialmente con la messa a disposizione al Regno Unito e agli Stati Uniti d'America, e alla Danimarca, delle basi aeree di Sigonella (CT) e Gioia del Colle, e con l'impiego di cacciabombardieri Tornado ECR per la soppressione delle difese aeree nemiche (tuttavia, questi aerei non hanno dovuto impiegare il proprio armamento missilistico a causa della rinuncia libica ad utilizzare mezzi di rilevazione radar, al fine di evitarne la distruzione). In seguito, dal 25 aprile 2011 in avanti, ha messo a disposizione della coalizione, e, dal 28 aprile, utilizzato, i propri cacciabombardieri Tornado IDS per colpire "bersagli selezionati" di superficie delle forze armate libiche. A tale scopo, sono stati utilizzati in seguito anche 4 cacciabombardieri AV8 Harrier II Plus, dalla portaerei Giuseppe Garibaldi, ed un'aliquota imprecisata di cacciabombardieri AMX.
(fonte: dal web)
Buona Vita